16 maggio 2012

Il valore dei dati

Come il DNA è alla base del funzionamento di un essere vivente, così le mappe della radioattività di Fukushima appaiono dai dati sulle radiazioni.

I dati sono ovunque e sono alla base di una infinità di cose che sorreggono il nostro stile di vita e il nostro rapporto con la realtà.

Eppure non li notiamo spesso e quando ci capita di farlo li troviamo in genere poco interessanti, se non addirittura terribilmente noiosi. Anche quando sono abbastanza comprensibili.

Ma i dati hanno sempre molto da raccontare e sono spesso pieni di sorprese. E più aumenta la quantità e la disponibilità di dati riguardanti la sfera pubblica, meglio è per tutti.

I dati grezzi di pubblico dominio consentono infatti a tante persone di descrivere la realtà in vari modi, con mappe navigabili, infografiche, animazioni e applicazioni web e mobili. E ormai sono innumerevoli le occasioni in cui queste forme di racconto presentano descrizioni nitide della realtà che ci circonda, mostrandone spesso aspetti imprevisti e sconosciuti.

Per esempio, l'ingegnere neozelandese Paul Nicholls, usando i dati sull'attività sismica pubblicati dall'Istituto di studi Geologici degli Stati Uniti (USGS), ha sviluppato Japan Quake Map, una sorprendente sequenza, navigabile e interattiva, degli oltre duemila terremoti avvenuti in Giappone dall'11 marzo 2011 a oggi. La mappa dà un'idea molto vivida della frequenza e della violenza con cui si muove la terra lungo la linea di faglia dove si scontrano la placca tettonica euroasiatica e quella pacifica.

Japan Quake Map è una mappa mash-up. In questo genere di mappe i dati vengono integrati alle mappe elettroniche come quelle di Google. Come altre opere del genere, quella di Paul Nicholls è un contributo alla conoscenza e un racconto di una realtà altrimenti impossibile da cogliere in modo così esaustivo.

L'animazione che segue illustra invece lo sviluppo di una mappa crowdsourced di Londra.
Le linee lampeggianti corrispondono ai dati geografici raccolti sul terreno e aggiunti, tra il 2005 e il 2010, su OpenStreetMap.



Il progetto di mappatura globale OpenStreetMap funziona grazie ai contributi di collaboratori volontari ed è stato ispirato da Wikipedia, l'esempio più famoso di crowdsourcing. La nota enciclopedia ha dimostrato ampiamente come la condivisione dei dati e la collaborazione di un insieme indefinito di persone possa diventare in breve tempo molto efficiente.

I lampi degli aggiornamenti che animano l'OpenStreetMap di Londra sembrano i segnali e le connessioni che corrono tra i neuroni di un cervello. Trovo che la somiglianza tra l'attività di una funzione cerebrale e le immagini dei dati che strutturano la conoscenza di una città sia una cosa sorprendente e bella.
Ed è interessante notare anche quanto in queste immagini sia evidente l'etimologia della parola informazione, che deriva dal latino informare, ovvero dare forma a un'idea. Infatti i dati aggiunti ad ogni aggiornamento di OpenStreetMap fanno apparire la forma di Londra dal nulla, mostrando come sorge, su una mappa, un'idea della realtà.

Ma il video realizzato da ItoWorld è soprattutto un ottimo esempio visivo delle possibilità che apre il crowdsourcing applicato alla mappatura del territorio ed è una dimostrazione, fra le tante in circolazione, delle opportunità offerte dalla condivisione pubblica dei dati.
Su questo tema, nel 2009 e nel 2010, il co-invenore del web Tim Berners-Lee ha tenuto due brevi e interessanti discorsi al TED (1).

Ormai, in un modo o nell'altro, tutti hanno modo di constatare che grazie alle tecnologie dell'informazione e alla reperibilità e disponibilità dei dati di pubblico interesse prodotti ogni giorno nel mondo, è dunque possibile creare mappe che raccontano una realtà specifica o descrivono la realtà da prospettive che mostrano qualcosa che solitamente è nascosto, invisibile o difficile da percepire.
E da qualche anno è piuttosto evidente che la condivisione dei dati e la collaborazione tra gruppi indefiniti ed estesi di persone, o anche associazioni e istituzioni varie, possono contribuire efficacemente all'organizzazione della conoscenza in una misura inpensabile prima.

Non bisogna fare un grande sforzo d'immaginazione per intuire i vantaggi di queste modalità nell'opera di mappatura della contaminazione radioattiva dell'incidente di Fukushima (2). Eppure le autorità governative giapponesi non riconoscono ancora i dati di monitoraggio prodotti da fonti non governative.

Di fatto però, la realtà invisibile delle radiazioni non la stanno raccontando soltanto le istituzioni tradizionalmente preposte, attraverso i funzionari governativi e le stazioni di monitoraggio automatiche. Alle attività di monitoraggio contribuiscono, con le loro ricerche, anche molti scienziati indipendenti e tantissimi cittadini che collaborano volontariamente a diversi progetti indipendenti di mappatura delle radiazioni, come ad esempio Safecast Global Map (3).



Il coinvolgimento di tutte queste persone, organizzazioni e istituzioni, giapponesi e internazionali, impegnate nello sforzo volto a conoscere la portata del disastro, è senza precedenti. Come è senza precedenti l'opera complessiva di raccolta dei dati sulle radiazioni (tuttora in corso) e di mappatura della radioattività in Giappone, la più grande mai realizzata in tempi così brevi.
Questo primato era già stato raggiunto nell'aprile 2011 con la pubblicazione della mappa Nnistar (4).

Il monitoraggio al suolo copre vaste zone del Giappone e il monitoraggio aereo condotto dal governo giapponese ha coperto un'area ancora più estesa, che però fornisce indicazioni generali sul grado e la diffusione della contaminazione (5). Rimane ancora da monitorare il suolo delle zone più difficili da percorrere, come le foreste montane o i fondali dei fiumi, dei laghi e del mare (6). In alcuni punti di queste zone sono stati già misurati livelli di radiazione elevati. Si tratta della parte più difficile dell'opera.

Nella prefettura di Fukushima in questo mese sarà avviato un progetto sperimentale per il monitoraggio delle radiazioni nelle foreste montane, da realizzare utilizzando le scimmie selvatiche che ci vivono, alcune delle quali saranno munite di collari con dosimetri e gps (7).



I dati del monitoraggio della radioattività raccolti finora hanno mostrato che il modo in cui si è diffuso l'inquinamento prodotto dall'incidente è stato per certi versi imprevisto (8, 9).

Oltre a poter rivelarsi sorprendenti, i dati sono prima di tutto preziosi e importanti per riconoscere la realtà. Nel caso dell'incidente di Fukushima, più dati ci sono, più le mappe dell'invisibile realtà della contaminazione radioattiva diventano accurate e dettagliate, permettendo a tutti di confrontarsi meglio con la realtà dei fatti.

E anche se certi governi non sono completamente d'accordo, va da se' che più sono le persone, le macchine ed eventualmente anche gli animali che raccolgono e condividono pubblicamente i dati sulle radiazioni, meglio è.


Note:
Questo articolo è in parte basato sulle informazioni pubblicate da queste fonti:
1. Tim Berners-Lee, L'anno in cui i dati sono diventati di dominio mondiale. TED, febbraio 2010.
2. Mappe wiki delle dosi di radiazione in Giappone. BackyardWorld, 2011/2012.
3. Dahr Jamail, Citizen group tracks down Japan's radiation. Al Jaseera, 10 agosto 2011.
4. Atsuhito Ennyu, Radiation dose rate maps of Japan. Radioisotope, 9 dicembre 2011.
5. Il monitoraggio delle radiazioni. BackyardWorld, 9 maggio 2011.
6. Cesium in Tokyo Bay focus of new study. The Asahi Shimbun, 21 febbraio 2012.
7. Wild monkeys to help gauge Fukushima radiation. The Daily Yomiuri, 12 maggio 2012.
8. 知られざる放射能汚染~海からの緊急報告. NHK, 15 gennaio 2012.
9. NHKスペシャル 知られざる放射能汚染~海からの緊急報告~. 新浦安ナビ plus, Wordpress, 16 gennaio 2012.


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Header image: Geiger counter showing radiation at Minamisoma, Fukushima, Japan. 4 November 2011. Source: osaMu, Flickr, edited by FDN.

11 giugno 2011

12 giugno

Con il referendum del 1987 l'Italia aveva rinunciato al nucleare, vietando inoltre all'ENEL di partecipare ad attività in impianti nucleari fuori dall'Italia.
Ma l'ENEL, insieme alla francese EDF, è attiva nel nucleare in Francia, Spagna e Slovacchia e ha in progetto la costruzione di nuovi reattori nucleari per la produzione di energia elettrica in Italia.

Pare che la Sicilia si sia prenotata per avere sul suo territorio un sito di stoccaggio delle scorie radioattive e una delle centrali nucleari di cui l'Italia potrebbe dotarsi in un prossimo futuro.
Il 12 e 13 giugno 2011 gli italiani dovranno pronunciarsi sull'uso dell'energia nucleare con una nuova votazione in un referendum abrogativo che comprende altri tre quesiti. Ovviamente anche i siciliani potranno confermare o meno la loro presunta volontà di avere una centrale nucleare sulla costa sud dell'isola.

Kevin Kelly studia gli effetti della tecnologia sulla cultura e la società. Nel suo libro Quello che vuole la tecnologia, riferendosi ad alcuni episodi di proibizionismo applicato alle tecnologie, racconta che in Giappone, tra il XVII e il IXX secolo, fu vietato il fucile.
In effetti l'etica dei samurai era legata all'uso della spada. L'uso del fucile avrebbe destabilizzato un modo di pensare e di agire consolidato, costringendo a ristabilire le regole del confronto militare fino ad allora condivise tra i clan che si combattevano per la conquista del potere, in un paese che in quel tempo aveva deciso di conservare le proprie abitudini rimanendo isolato dal resto del mondo.
Fu una scelta culturale e pratica manifestata con il rifiuto (inevitabilmente temporaneo) di una nuova tecnologia e delle sue regole conseguenti.

Ogni nuova tecnologia è portatrice sia di nuovi vantaggi che di nuovi problemi. I cambiamenti e gli effetti imprevisti ad essa collegati possono sviluppare una cultura e una civiltà in direzioni sconosciute, spesso destabilizzanti per le certezze e lo status quo della società o di alcune sue parti. Fino ad oggi, ovunque nel mondo, la diffusione di nuove tecnologie ha spesso incontrato opposizioni anche tra chi le usa, con resistenze che talvolta sono diventate divieti imposti.
Di fronte ai potenziali pericoli dell'innovazione, la società certe volte ricorre al principio di precauzione, al fine di contenere gli eventuali danni prodotti da pratiche ancora non ben sperimentate. Kevin Kelly fa però notare, ad esempio, quanto sarebbe controproducente applicare il principio di precauzione all'informatica per contrastare gli effetti negativi dei virus informatici. Un simile divieto ci impedirebbe di avere i vantaggi di cui godiamo per proteggerci da un problema finora relativamente contenibile.
Quindi nella civiltà tecnologica contemporanea, dove ogni attività è strettamente collegata e dipendente dalle tecnologie, essere contro la tecnologia o vietarne il libero uso generalmente non ha molto senso.

Le simulazioni, gli esperimenti e le previsioni in genere non mostrano tutte le conseguenze prodotte dall'introduzione di una tecnologia. Solo l'uso nella realtà ne può far emergere gli effetti imprevedibili, siano essi positivi o negativi: quando fu inventato il motore a scoppio non era prevedibile quanto le automobili, con la loro diffusione di massa, avrebbero influenzato le trasformazioni urbanistiche delle città contemporanee.
Finora la tecnologia nucleare si è rivelata efficiente da un punto di vista produttivo ma ha dimostrato che a causa delle scorie che produce o in caso di incidente può essere pericolosa per la salute e l'ambiente su una scala temporale mai immaginata prima della sua invenzione. Le prove più evidenti della pericolosità dell'uso civile del nucleare non sono esperimenti di laboratorio, ma dimostrazioni pratiche durante il normale uso nella vita reale: il disastro di Cernobyl e il disastro di Fukushima.
La percezione di questa pericolosità spesso non è pienamente condivisa da tutti. Di fronte a tali dubbi e vedute contraddittorie, un simile caso speciale dovrebbe essere considerato come uno di quelli a cui applicare il principio di precauzione, infatti nei circa settant'anni dalla sua introduzione, il nucleare non si è ancora liberato dello status di tecnologia più pericolosa del mondo. Tutto questo dovrebbe indurci a investire più risorse in altre tecnologie e specialmente in quelle ad uno stadio avanzato di sviluppo ed evidentemente più sicure, come il solare e l'eolico.
Un altro argomento a sfavore dell'industria nucleare civile è la mentalità del segreto che la pervade.

Secondo i suoi difensori invece, l'energia nucleare rende autonomi dal punto di vista energetico e contribuisce alla riduzione delle emissioni di CO2. E' vero, non va però dimenticato che l'Italia ha praticamente svenduto il petrolio siciliano alle compagnie petrolifere straniere. E forse non tutti sanno che secondo uno studio pubblicato ad aprile 2011 dal Ministero dell'Ambiente del Giappone, nelle regioni di Tohoku e Kanto la forza del vento può produrre la stessa quantità di energia prodotta dalle centrali nucleari attualmente esistenti nelle due regioni.
Gli obiettivi di un'autonomia energetica e della riduzione delle emissioni di CO2 si potrebbero dunque perseguire per altre vie, eliminando anche i gravi rischi di inquinamento nucleare, che anche senza incidenti, sono garantiti dalla produzione di scorie nucleari.
Secondo un'altra ragione in difesa del nucleare, le centrali di terza generazione sarebbero molto sicure. Nel caso di un ritorno al nucleare l'Italia adotterà reattori di tipo EPR, versione aggiornta del PWR già in uso a Tree Miles Island. Anche i reattori BWR di Fukushima Daiichi erano reattori di terza generazione.
Gli EPR che dovrebbero essere costruiti in Italia saranno alimentati con il MOX, lo stesso combustibile che si è fuso nel reattore numero 3 di Fukushima Daiichi e che desta grandi preoccupazioni per la sua forte tossicità. Infatti, anche se più economico perché ricavato dal processo di arricchimento dell'uranio e riciclando il plutonio delle bombe nucleari dismesse, il MOX è molto instabile e più pericoloso degli altri combustibili nucleari. Inoltre, dopo l'utilizzo, il MOX genera più radioattività e calore rispetto ai combustibili nucleari tradizionali e prima di poter essere sigillato in un sito di stoccaggio definitivo, richiede il trattamento in grandi impianti di raffreddamento durante 50 anni, ovvero un tempo 10 volte più lungo di quello necessario per gli altri combustibili nucleari.

Personalmente sarei diverso senza le tecnologie che uso e da cui dipendo. Credo che questo valga per tutti. Sono convinto che le tecnologie possano offrire agli esseri umani l'opportunità di realizzarsi secondo le proprie inclinazioni e non vorrei imporre restrizioni sull'uso o sulla sperimentazione non cruenta di nuove tecnologie. Questo non significa che io debba sentirmi obbligato ad usare qualunque tecnologia.
Mia moglie è di Tokyo, non molto lontano dalla sua casa c'è una centrale nucleare. Prima del disastro di Fukushima Daiichi ci ho sempre pensato distrattamente, insomma non era un problema. Oggi per me non è più così. Preferirei che in Sicilia, la terra dove sono nato e in cui vivo parte dell'anno, non venisse costruita mai una centrale nucleare. Naturalmente, in casi come questo, la mia volontà ha poca importanza se non coincide con un desiderio collettivo.

In questi giorni mi sono ricordato una scena del film The Million Dollar Hotel di Wim Wenders, in cui dei tizi devono prendere una decisione mettendola ai voti. L'idea è suggerita da uno di loro, perchè "siamo in una democrazia", dice, e organizza la votazione spiegando che "ci sono due possibilità: una è si e l'altra perchè no?."
Anche se non in questi termini, il voto sul nucleare non sarà la risposta chiara ad un quesito limpido (articolo del Post). E nella confusione italiana non si capisce neanche bene che fine faranno i voti dei residenti all'estero... Io voterò lo stesso, nella speranza di poter contribuire a dare un segnale, per prendere una posizione, fare una scelta che sicuramente andrà difesa nel tempo.

Il 12 giugno al referendum voterò SI e poi andrò al mare. Anche la mia amica siciliana (nella foto in apertura di questo post), andrà al mare dopo aver votato SI perché non vuole una centrale nucleare vicino alla sua spiaggia preferita, che è vicina ad uno dei siti siciliani dove potrebbe sorgere una centrale di terza generazione.

Voi che farete?


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